Il regime del salario.

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PREFAZIONE DI FERRUCCIO GAMBINO

Il regime del salario è il nome del rapporto di dominio dentro e contro il quale ci troviamo oggi a vivere. Esso è l'estensione del comando capitalistico anche al di là del tradizionale rapporto di lavoro salariato. Questa sua caratteristica impedisce qualsiasi definizione omogenea e unitaria del lavoro salariato perché impone una moltiplicazione delle forme contrattuali, la trasformazione dei servizi e la monetizzazione del welfare. Il regime del salario non è un ritorno al passato capitalistico della mera coazione al lavoro, ma un rapporto di dominio più complesso nel quale il salario si scompone in forme e figure diverse della produzione sociale. Esso punta a imporre una disponibilità costante a essere occupati e questa è una coazione che in Italia milioni di lavoratori conoscono, da Melfi alle regioni metropolitane del Nordovest, dalle fabbriche verdi del meridione alle fabbriche piccole e grandi del Nordest. Questa raccolta di interventi, scritti tra l’aprile 2014 e il gennaio 2015, vuole essere uno strumento nelle mani di precarie, migranti e operai per districarsi nel labirinto del Jobs Act e per sottrarsi alla coazione del regime del salario.

Avete bisogno di un convivente che vi aiuti a pagare affitti e bollette? Fra poco non sarà più un problema. È in arrivo lo smart working, il lavoro agile che permetterà allo sfruttamento di entrare nelle case di lavoratori e lavoratrici in salute e in malattia, 365 giorni l’anno finché licenziamento non li separi.
Pensate che esista ancora uno scarto tra pubblico e privato e che solo le donne abbiano il privilegio di lavorare tra le mura domestiche senza limiti alla giornata lavorativa? No, roba vecchia, lo smart working sarà per tutti, maschi e femmine, dipendenti pubblici e privati.

 

 

Avete paura di non essere abbastanza flessibili? Lo yoga non serve. Ora potrete essere sempre al lavoro, flessibilissimi e produrre, produrre come non avete mai fatto prima, senza limiti di orario e all’ora che preferite, in altre parole: sempre! Always! Immer!
Produttività continua e azzeramento dei costi di gestione: un toccasana per le aziende che, già rinvigorite dal Jobs Act, possono tirare l’ennesimo sospiro di sollievo. Lo scopo del lavoro agile, secondo l’articolo 1 del ddl non ancora approvato, è «incrementare la produttività e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro», ossia riconciliare il lavoratore con l’idea che i tempi di lavoro hanno occupato tutta la vita.
Lo smart working si ispira liberamente alle smart holidays, meglio note come Discretionary Time Off (DTO), sistema già diffuso nelle grandi multinazionali della Silicon Valley, General Electric e fra poco anche Linkeldn. La logica è apparentemente liberale, ovvero vai in ferie quando vuoi, quanto vuoi. A sentirlo si fa fatica a crederci ma tranquilli, il trucco c’è e si vede. L’autogestione del tempo libero dal lavoro corrisponde a una falsa autonomia che trasforma i profitti nel vero padrone del tuo lavoro e anche della tua vita privata. Che importa fissare le ferie se si possono fissare autocraticamente i risultati richiesti da ogni singolo lavoratore? I manager aziendali ci guadagnano due volte: eliminando le ferie pagate – di modo che se non vengono smaltite non sono un costo per l’azienda ma solo una perdita per il lavoratore male organizzato e irresponsabile – e trasformando il lavoratore in una macchina che deve produrre secondo standard prefissati o è licenziato. Smart, eh?
Ferie senza limiti significa quindi solo lavoro senza limiti, perché di fatto senza un piano di ferie obbligatorie per l’azienda gli obiettivi produttivi hanno il potere di definire tutta la vita del lavoratore, dentro e fuori il suo posto d’impiego. Non manca poi una logica da selezione della specie che mira, come ha candidamente ammesso LinkedIn, a promuovere i veri «talenti», quei lavoratori veramente smart che saranno in grado di soddisfare le esigenze produttive, riuscendo anche a godersi le ferie. Cavalieri del lavoro fatevi avanti! E pensare che il fondatore di Netflix ha battezzato le smart holidays come il «vero motore della creatività» in azienda. E nel suo caso, diciamolo, creatività significa produttività, affari, soldi. Non c’è da stupirsi, anche Bill Gates ha dichiarato che per essere smart bisogna essere un po’ pigri – purché intelligenti! – in modo da cercare scorciatoie strategiche per ottenere risultati efficienti lavorando meno. Chissà perché nelle multinazionali di questi signori la gente si affanna tanto a sgobbare! Tutti stupidi!
Il leit motiv di queste nuove tecnologie contrattuali è il monitoraggio costante del livello di produttività dei singoli lavoratori – considerati meri esecutori programmati – grazie alla minaccia del licenziamento, per rispondere alla massimizzazione continua dei profitti. Si tratta di una tecnologia di controllo del lavoro che è da tempo una nuova frontiera scientifica, come dimostrano i Computer Business Systems (CBS), software pensati per amministrare e gestire la forza-lavoro su un criterio di massima efficienza e funzionalità alla ricerca della pietra filosofale dello sfruttamento: l’algoritmo del profitto.
Smartworking e DTO sono tecnologie più semplici ma altrettanto efficaci. Esse agiscono da due lati diversi per ottenere lo stesso effetto: un comando illimitato sul lavoro. Perché fissare un luogo di lavoro se posso comandarti anche a casa tua, dove le bollette te le paghi da solo? Vuoi lavorare al parco, in spiaggia, in montagna, sotto un ponte (di questi tempi…)? Fai pure. Tutto è permesso nel regime del salario 2.0, ovvero l’edizione smart di quel rapporto di subordinazione che ci obbliga a inseguire frammenti di un salario che non è mai sufficiente: da oggi, in superpromozione, vi accompagnerà anche nelle gite fuori porta! La cosa importante è che il luogo di lavoro non sia l’ufficio perché gli affitti sono troppo costosi, le aziende non li vogliono più pagare, come non vogliono più pagare i buoni pasto e i salari, ridotti quasi a premi da conquistare continuamente.
Non pensiate infatti che questi risparmi rientrino in qualche forma nelle tasche del lavoratore perché la storia ci insegna che i salari rimarranno miseri e incerti. Sarà infatti davvero difficile quantificare le ore di lavoro svolte se consideriamo che lavoro agile significa soprattutto flessibilità di orario oltre che di sede e, se ci permettete una proiezione, la partita si giocherà al ribasso. Ne è esempio ormai da tempo il lavoro domestico e di cura, dove nella maggior parte dei casi si sta al lavoro l’intera giornata, spesso anche di notte per pochi euro l’ora, il tutto sulla base di contratti specifici che legittimano questo sfruttamento. In questo senso va la limitazione del sussidio di disoccupazione Naspi per le badanti. Grazie alla circolare interpretativa 142 del Jobs Act, le colf che lavorano meno di 24 ore settimanali non hanno diritto alla Naspi. La decisione permette un profitto al netto del risparmio: fare cassa con i contributi delle badanti che non ottengono nessun benefit in cambio; favorire così il vecchio, caro lavoro nero, senza diritti ma senza costi; assegnare ancora più potere discrezionale a chi assume una badante, scegliendo se fare o meno il contratto, se e quanto pagare fuori busta, se e in che misura versare i contributi e dichiarare le ore effettive di lavoro. Qualora il datore di lavoro decida di dichiarare meno ore, la badante ci perde due volte: in termini di contributi versati e in termini di sussidio di disoccupazione. La logica anche qui è quella del ricatto, della subordinazione completa della vita ai tempi e agli spazi del lavoro, la disponibilità di una forza lavoro, meglio se migrante, senza potere, costretta di fatto a rincorrere lo sfruttamento più totale.
Lavorare in casa, dunque, non è così bello come dicono gli entusiasti dello smart working. Come accade per le collaboratrici domestiche, anche lo smart working sarà disciplinato da un contratto specifico stipulato tra azienda e lavoratore. Qui il padrone avrà la totale discrezionalità nel determinare le regole del recesso e, come non è difficile immaginare, probabilmente anche tutto il resto. In altre parole: ti assumo e ti licenzio come preferisco e intanto sperimento il tuo grado di flessibilità, allontanandoti dal grigiore dell’ufficio, facendoti credere che sarà più facile per te conciliare vita e lavoro, che sarà più piacevole lavorare, facendoti sentire più autonomo e meno sfruttato ma solo per farti lavorare sempre e ovunque, per incrementare profitto, che senza il tuo sfruttamento non sarebbe possibile. Per farti diventare la mia miniera d’oro!
Siete ancora cosi sicuri di voler convivere con il vostro lavoro? Siete sicuri che pagherà l’affitto a fine mese? Siete sicuri che vi lascerà del tempo libero e non sarà geloso e smanioso di seguirvi ovunque andiate? In fondo avete capito la filosofia, per lavorare smart bisogna lavorare sempre e il tempo libero diventa una sfida, il premio finale della grande corsa. Chi vincerà?
Lo smart working potrà anche essere venduto come modalità di lavoro innovativa, per contrastare il logorio della vita moderna, ma noi sappiamo che è solo un tassello che va ad ampliare il quadro del mercato del lavoro regolato dal Jobs Act dove flessibilità, occupabilità e lavoro informale non sono certo una novità ma l’imperativo sotto il quale si regola e si gestisce al meglio lo sfruttamento della forza lavoro. Anche se lo chiamano in inglese, governo e imprese non ci prendano in giro. La questione che dovremmo porci è: se anche noi iniziassimo a organizzarci per uno sciopero smart?

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